E’ bello dopo il ciclone ascoltare le ranocchie che cantano nel pantano. Non credo sia solo un modo per rimarcare il territorio e segnalare alle femmine la disponibilità ad accoppiarsi di un maschio, ma una vera e propria manifestazione di gioia. Per lo meno, è una sensazione che provo tutte le volte che il buon umore supera la soglia del dolore e s’innalza verso le altezze sublimi della beatitudine. In tutte le altre occasioni – e sono la maggioranza – per me la vita è male, come diceva il gobbetto Giacomino. Va da sé che è bello, in ore antelucane, sentire l’assiolo che fa un assolo e i grilli che fanno un concerto, sovrapponendosi, in una cacofonia gradevole e rilassante, al gracidare di rane e rospi. Ma i re del mattino restano loro: i galli, in malgascio chiamati “akoho lay”, per distinguerli dalle galline che invece sono “akoho vavy”, oltre che dai pulcini che si chiamano “zanakakoho”. Chi riesce a pronunciare queste parole ha il mio plauso. Io ci ho messo anni per impararle. Nei giorni feriali la sveglia è alle cinque. Io sono sveglio alle tre, l’ora del diavolo e se lo viene a sapere Tina, che già mi considera un “devoly”, avrebbe conferma della mia natura infera, del tutto avulsa dalla cristiana primitività sua e dei suoi connazionali.
La sveglia comunque non è per me ma per Annika, che ci mette un po’ prima di, nell’ordine, svegliarsi, alzarsi dal letto, fare la doccia mattutina, fare o non fare colazione a seconda dell’estro e farsi portare a scuola, in un collegio privato, da Biry Biry, il nostro ciclo-poussy di fiducia. Egli prende 40.000 ariary al mese per svolgere questo sevizio, ma solo nei giorni feriali. In pratica, la porta al mattino, la riporta a mezzogiorno, la porta nel pomeriggio, la riporta la sera. Si tratta di undici euro, per 20 sortite mensili e un sacco di chilometri, tra casa e scuola, andare e tornare, con la pioggia e il sole, ma queste sono le tariffe del Madagascar e Biry Biry è contento. Meno contenta dev’essere Annika, che si sveglia con orari da operaio metalmeccanico e che ha anche lezioni pomeridiane, proprio quando la fisiologia del corpo, unita al clima tropicale, propenderebbero per un’amaca, un materasso o anche una semplice sedia a sdraio. E invece no, il ministro dell’istruzione vuole lei e i suoi compagni seduti dritti ai loro posti. In classe. Laddove una maestra arcigna, se li sente parlare tra loro in malgascio, li prende a ceffoni (in Madagascar è ancora lecito), giacché in classe si deve parlare solo francese. Succedeva la stessa cosa 90 anni fa in Friuli, con i bambini friulani presi a ceffoni dalle maestre se in classe parlavano in friulano. Quello si chiamava fascismo mussoliniano, qui lo chiamano democrazia francese.