ROMA - Alla fine l’ultima danza diventerà la tredicesima. Passi di luna con lo sbattere di pietre. Come un’attesa che vola tra aquile e aquiloni. Io gioco agli arcobaleni. Passi di danza nel cercare la luna. Come un’armonia nella disarmonia. Ci sono attese che restano pause. Le pause dono infiniti cerchi. La vita è fatta di attese.
Tu sei la mia attesa, ma sei anche il mio senso.
Una volta, tanto tempo fa ascoltavo spesso una canzone dal titolo “Io che non vivo senza te”.
Ho tra le mani i pensieri.
Pensieri!
Quella canzone, in questi giorni mi, mi ritorna come eco, come fraseggio, come musica, come suono…
Io che non vivo senza te…
Sono echi che hanno voci e vento che giungono da giovinezze strappate al vento del tempo.
Il tempo è anche tra le mani.
Mata Hari danza. Ancora per tredici notti!
C’era una volta nelle stanze della mia memoria la vacanza del destino. Diventato vento. C’era una volta… Una volta c’era…
Io che non vivo una sola ora senza penarti come posso pensare di vivere una vita lontano da te?
Questo è il senso e io ti regalo questo senso… perché è orizzonte..
io che non vivo senza te non potrò, senza te, continuare a vivere, perché tu sei dentro di me.
Le mie e le tue mani.
Tra i giorni che scorrono, tra le ore che ripetono il bisogno di incontrarti di amarti, di baciarti, di abitarti come è possibile vivere altro, mentre di mordicchio le labbra tra le metafore e le allusioni.
Il reale e l'irreale si intrecciano.
Tra le nostre mani vivono le anime.
La favola può vivere senza il reale?
No, la favola nasce come favola, io e te siamo nati come favola, ma abbiamo bisogno del reale che ascolta la favola.
Il reale, se non ascolta la favola, è soltanto quotidianità, rappresentazione del giorno che passa.
Anche tra le dita passano i giorni.
E’ tutto scontato?
style="text-align: justify;">Non è scontato perché l’amore è trincea,
l’amore è dolcezza nell’incontro ed ha gli infiniti respiri che sono i sospiri che mi regali in ogni tuo accenno, in ogni tua eco.
L’eco che mi giunge da distanze lunari e tu mi porti la luna di notte e l’aurora di giorno.
Le nostre mani raccolgono il silenzio.
C’era una volta una danzatrice che custodiva le stelle. Poi si perse! Restò il pianto di una nuvola. E l’eco divenne ombra.
Danza ancora.
Mata Hari è negli Orienti.
Forse altre tre volte.
Per non smettere di danzare tre volte ancora.
Sino a contare nove volte. Poi altre tre.
Alla fine l’ultima danza diventerà la tredicesima e si fermerà nel chiaro della luna.
Mi addormento con te e mi sveglio con te. Mi sembra leggere il mio amico Pavese.
Questo è il viaggio, il mio viaggio con te che ha l’immenso, la bellezza di essere insieme, gli Orienti e l’Occidente che si incontrano come nel racconto di Abshu che io recito tra lo spazio e il tempo mai misurato.
Sono le mani che intrecciano mistero.
Ti vivo tra sinfonie, sintonie, armonie con i suoni e tu sei quella danzatrice che ha la religiosità dei sufi negli occhi e guarda il cielo ed io ti appartengo come metafisica dell’anima, perché tu mi appartieni come cuore, come anima.
Ti ascolto, ascolto la tua voce. La tua voce.. questa voce che mi inebria, questa voce che è eleganza, che è estasi, e poi ti vedo. Ed è come se ti vedessi danzare su di me, è come se ti vedessi danzare tra le onde del vento che sfiora il tuo seno.
Ti sfioro il seno. Con le mani.
I tuoi capelli sono una banderuola che si agita nelle albe scure della tua città e nel sole sul mare della mia città.
Siamo immensi.
Siamo immensi come il vento nelle ore che tracciano viaggi. Siamo viaggi come vele e restiamo vele tra i nostri itinerari. Amore immenso tra le mani e tra le mani scorrono le nostre anime.
Hai mai visto il silenzio farsi voce? E la voce diventare silenzio?
Custodisci una rosa nata nella notte della tredicesima luna, e poi non chiedere mai di capire. La danza con lo sbattere delle pietre.
Alla fine l’ultima danza diventerà la tredicesima!
C’era la luna in quell’alba.
Anche in quell’alba Mata Hari non smise di danzare.