Le valigie sono fatte, ma c’è qualcosa che non va. L’altro ieri ho trovato mia madre, in ospizio, meno reattiva del solito. Il quadretto di cioccolato che con mani tremolanti aveva accettato, le si scioglieva in bocca, ma la saliva le colava sul mento. Le foto in bianco e nero della sua giovinezza, che coincidono con la mia infanzia, non le interessavano più di tanto e non vedeva l’ora di essere messa con la sua inseparabile sedia a rotelle al solito posto nella stanza comune, con televisore acceso, aspettando Godot insieme agli altri anziani. Mia figlia ventenne, che dovrebbe trasferirsi
nell’appartamento in mia assenza, non risponde ai comandi come vorrei, benché il codice genetico ci accomuni e nessuno dei due sia un apparecchio elettronico. Pare che anche lei, nonostante la sua giovane età, abbia sofferto di depressione, essendo cresciuta senza padre, ma non ne so nulla: ci sono tra me e lei argomenti tabù che neanche Margaret Mead riuscirebbe a decifrare. Le passeggiate con la mia cagnetta, sotto questo cielo fosco e minaccioso di pioggia, evitando pozzanghere e foglie scivolose, rendono il distacco per me ancora più triste. In questo sabato uggioso sembra che la gente se ne stia rintanata in casa, aspettando un futuro incerto. C’è una donna che attende il mio arrivo ai tropici, una donna straniera che tra l’altro ho sposato nel 2011 in seconde nozze, ma l’incertezza economica nella quale lascio i miei compatrioti mi seguirà anche laggiù perché non so quanto renderà il lavoro di guide turistiche che ci accingiamo a fare in coppia. Spero che il sole tropicale fughi ogni malinconia e gli stimoli che in Madagascar non mancheranno mi ridiano quello slancio vitale che ora sento ridotto al lumicino. Le previste scorpacciate di manghi e le salse al peperoncino dovrebbero rimettere in carreggiata il mio umore.