L'infanzia che ritorna in un giorno di pioggia


Me ne stavo seduto sotto il portico, guardando la pioggia, ad aspettare una telefonata di Tina, come capita tutte le volte in cui lei deve girare per uffici e la mia presenza non sarebbe opportuna, vista la tendenza dei funzionari a fare vazaha-profit, quando qualcosa sul terreno attirò la mia attenzione. Non era una foglia sospinta dal vento, perché vento in quel momento non c’era, ma una creaturina animata di forza propria, di color marrone. Ecco perché gli animali selvatici restano fermi quando si sentono in pericolo: è il movimento che attira l’attenzione dei predatori. E infatti, anche se in quel caso il predatore avrei potuto essere io, si trattava di un piccolo predatore dalla pelle delicata, che approfittava della pioggerella per andare a caccia di insetti simili alle effimere, della grandezza delle formiche alate. Ma che se ne andasse in caccia l’ho capito dopo un po’. Dopo che mi sono accorto che, come lui, ce n’erano altri due, diversi nelle tonalità del marrone e del nero. Il primo amore, comunque, non si scorda mai e, avvicinatomi da dietro, l’ho subito fotografato, pensando che se si accorgeva di me avrebbe potuto mettersi a saltellare all’impazzata e allora, addio ulteriori foto.




E invece, l’ho aggirato piazzandomi proprio di fronte e, da lui, nessuna reazione. Anzi, ho voluto toccarlo
e, per tutta risposta, si è gonfiato, aspirando aria nei polmoni. Che tenero! Il metodo di difesa è lo stesso del pesce palla e del pesce istrice, ma lui, il rospetto a caccia di imenotteri alati, qualsiasi gatto, o cane, o corvo avrebbe potuto farne un boccone, gonfio o non gonfio. Gli altri due erano meno socievoli, ma forse perché avevano una gran fame e non avevano tempo da perdere con un fotografo naturalista. C’è bisogno di dire che quei tre batraci mi hanno riportato indietro alla mia infanzia? No, non credo che ci sia bisogno di dirlo. Ecco almeno una delle cose positive di questa mia trasferta in Madagascar: l’infanzia, quel regno da cui tutti prima o poi veniamo esiliati, non è perduta, ma può rifarsi viva, anche con dei semplici rospetti, simulacri dell’età d’oro degli uomini.



Sono rimasto fermo sopra di loro a guardarli correre dietro agli insetti. Per loro potevo essere un tronco d’albero. Quando si sono ben bene rimpinzati, sono spariti. La caccia è durata dalle tre e mezza alle quattro del pomeriggio. Poi, come erano apparsi dal nulla, così nel nulla sono ritornati e ancora adesso mi chiedo in quale buco si siano cacciati. Ho fatto il giro del cortile, dietro la casa, per vedere se erano andati dove c’è la pompa dell’acqua, dove Tina lava i panni, ma se si fossero diretti da quelle parti me ne sarei accorto. Credo che si siano interrati proprio dove hanno attuato la loro caccia, fra l’erba bassa. Spesso mi fermo a riflettere sul fatto che io dovrei essere in mezzo alla foresta, a cercare animali nei parchi e invece sono preso nelle faccende quotidiane, fare la spesa, lavare i piatti, ecc. ma la natura benignamente si ricorda di me e mi porge piccoli doni. Tre piccoli doni di color marrone. Ora che è cominciata la stagione delle piogge, ho l’impressione che li rivedrò ancora.

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