Al Teatro Nuovo di Napoli, Toledo Suite di e con Enzo Moscato. Sul palcoscenico partenopeo l’originale allestimento scenico

Teatro-Nuovo-Napoli-Toledo-Suite
Enzo Moscato
NAPOLI - Giovedì 12 gennaio 2017, Teatro Nuovo di Napoli, Toledo Suite di e con Enzo Moscato. Dopo le recenti tappe internazionali, in Brasile in Giappone, torna sul palcoscenico partenopeo l’originale e raffinato allestimento scenico.

E’ un viaggio musicale colto e popolare, raffinatissimo e originale di Enzo Moscato, Toledo Suite, che, dopo le tappe internazionali in Brasile e in Giappone, torna a Napoli, al Teatro Nuovo, da giovedì 12 gennaio 2017 alle ore 21 (in replica fino a domenica 15). 

Tra canzoni, scritti, brani musicali e immagini visive si snoda l’intero spettacolo, messo a punto da Pasquale Scialò, arricchito dalle immagini sceniche realizzate da Mimmo Paladino, e l’accompagnamento musicale di Claudio Romano, alla chitarra, Paolo Sasso, al violino, Paolo Cimmino, alle percussioni.

Drammaturgo, poeta, scrittore, regista e attore, Enzo Moscato si presenta in questo spettacolo nelle vesti di cantante, ma il suo è un canto dell’anima, una forma espressiva particolare e unica che è anche teatro, poesia, arte. 

La sua voce sottile dolente, crea atmosfere di struggente bellezza, in cui l’immagine di Napoli, costantemente evocata, si confonde in quella di altre città europee, e il presente si confonde con il ricordo del passato. 


Le canzoni napoletane si alternano a brani di scrittori e musicisti come Bertolt Brecht, Kurt Weill, Marguerite Duras, Lou Reed, Jacques Prevert, dove la fantasia viaggia in un caffè fumoso nella Parigi degli esistenzialisti, in un cabaret della Repubblica di Weimar, in un café-chantant napoletano, volando sulle ali della poesia e della musica.

“Io non sono un cantante - spiega Moscato - non lo sono mai stato. Quello che in scena sembra canto è solo un’altra forma della mia scrittura. Il canto, come la sintassi, come lo stile, come la recitazione, come la danza, il movimento sono tutte declinazioni del desiderio dell’anima di esprimersi. Parto dai suoni (genetici) napoletani, dai grandi autori musicali nostrani: Viviani, Gill, Taranto, Trovajoli, o anche da hit canore notissime (Scalinatella, Cerasella, Anema e core etc.), per poi ‘crudelmente spaesarli’, dislocarli e, così, facendoli lambire il mondo intero, l’internazionalità del graffito vocale, come direbbe Artaud, facendoli incontrare/scontrare con autori quali Brecht, Eisler, Weill, Marguerite Duras”.

Toledo Suite non è un semplice recital, ma una descrizione accurata della Napoli dei vicoli, del popolo, di quella gente che possiede come unico mezzo per essere liberi la musica, strumento per narrare, raccontarsi, condividere. 

Moscato, in scena, girovaga come un folletto, facendosi spazio tra i musicisti, e, rievocando spiriti antichi e moderni, porta in scena nient’altro che la propria stessa potente scrittura, cui conferisce forma rinnovata.

Toledo Suite di e con Enzo Moscato. Napoli, Teatro Nuovo – da giovedì 12 a domenica 15 gennaio 2017. Inizio rappresentazioni ore 21 (giovedì e sabato), ore 18.30 (venerdì e domenica). Da giovedì 12 a domenica 15 gennaio 2017 Napoli, Teatro Nuovo Compagnia Teatrale Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo presentano Toledo Suite di e con Enzo Moscato, immagini sceniche Mimmo Paladino, composizioni originali, elaborazioni  musicali Pasquale Scialò, chitarra Claudio Romano, violino Paolo Sasso, percussioni Paolo Cimmino, organizzazione Claudio Affinito, durata della rappresentazione 65’ circa, senza intervallo.

Enzo Moscato, chansonnier, interpreta brani di Brecht, Duras, Viviani, Weill, Taranto, Gill, Reed … per un viaggio musicale, messo a punto da Pasquale Scialò, colto e popolare, raffinatissimo e originale; un recital di forti e suggestive emozioni, grazie anche alle immagini sceniche che lo accompagnano realizzate da Mimmo Paladino.

‘Toledo-Suite’…
ovvero ‘Recital’ o ‘Serata-Voce’.

Viaggio nel flusso canoro-migratorio dei generi vocali più diversi.

Ovvero ancora - ed  è forse la cosa più calzante - ‘Enzo Moscato, una sera, e quel suo canto/carezza/pugnale; 
quell’indefinibile assenza/presenza, sulla scena, affidata alla sua gola.

Quel duttile, affascinante gioco, che fa a meno di arredo, di orpelli, di costumi, di finzioni.

Che fa a meno di tutto, tranne che della Voce.

style="text-align: justify;">Forte e fragile pigmento.

Forte e fragile epidermide del suo essere ‘così’:
antico,  moderno, aspro, dolce, smarrito, evocativo,
adulto, bambino, terribile e infrangibile Assoluto,
che tutto consegna alla forma-canzone, dai trovatori ai coevi cantautori.

Per intensamente mandarci dei segnali, forse.

Per più, fisicamente e mentalmente, lasciarci una ferita.

Per Toledo Suite
Io non sono un cantante. Non lo sono mai stato.

Quello che in scena sembra canto è solo un’altra forma della mia scrittura.

Nel mio canto scenico avviene come una migrazione dello strumento della scrittura da un organo corporeo all’altro: dalla mano all’ugola, alla gola…

La scrittura, per me, e non solo quella scenica, è la principale forma d’espressione dell’anima, la quale, pertanto, fa uso di tutto - proprio tutto - per poter venire fuori e farsi riconoscere.

Il canto, come la sintassi, come lo stile, come la recitazione, come la danza, il movimento… sono tutte declinazioni del desiderio dell’anima di esprimersi.

Del resto, la migrazione di strumento espressivo, da un organo corporeo all’altro, è parallela alla migrazione che faccio compiere alla musica, alla canzone, ai brani recitati, alle lingue, che compongono di solito un mio percorso di spettacolo.

Parto dai suoni (genetici) napoletani, dai grandi autori musicali nostrani: Viviani, Gill, Taranto, Trovaioli, o anche da hit canori notissimi (Scalinatella, Cerasella, Anema e Core etc.), per poi crudelmente ‘spaesarli’ – dislocarli – e, così, facendoli lambire il mondo intero, l’internazionalità del graffito vocale – come direbbe Artaud; facendoli incontrare/scontrare con autori quali Brecht, Eisler, Weill, Marguerite Duras, perché in fondo la lingua del canto dell’anima, della scrittura dell’anima in note, non conosce barriere, dogane, divisioni, confini, ma parte e ritorna da e all’unica radice, che tutte le fa nascere e camminare: il desiderio di esprimersi e comunicare, che è in ognuno di noi, al di là  del luogo dove si è nati, dell’età, del colore della pelle, dello status sociale e politico cui si appartiene. 

E questa ‘trasversalità’ della musica e del canto è meravigliosa, perché fuori dalle ideologie e dalle classi, fuori dalla storia e dai fenomeni, fuori dai dogmi e dalle prigionie del gusto, il che spiega ampiamente perché, cantando, io non abbia mai fatto selezione alcuna in ciò che canto: alto/basso, mentale/viscerale, destra/sinistra, colto/plebeo, per me non esistono nel canto: tutto è uguale, tutto è ugualmente degno di essere, localmente, vissuto ed espresso.

Nella fattispecie, Toledo Suite presenta un filo tematico-simbolico che lega insieme tre cose: Toledo stesso – come quartiere, la musica, le puttane. Perché? Che affinità, che prossimità può esserci mai tra questi tre fattori apparentemente eterogenei?

Io direi che ciò  che li lega nel profondo è il senso di perdita.

Toledo è perduta, gratuita, evanescente, incatturabile alla Storia. 

Toledo non si è mai – e continua a non inserirsi mai – nella Storia.

Non sono il primo e non sarò neanche l’ultimo a dirlo: Viviani o Patroni Griffi – per tutti -  credo abbiano detto, al riguardo,  una parola più che definitiva, che ce la rende, in fondo,  come un’Utopia Assoluta, condizione perfetta, del resto, per continuare e continuare a scriverne.

Poi c’è la musica, che è essa stessa perdita e senso – senso di perdita, in quanto eternizzazione fine a sé stessa del piacere dell’ascolto. 

Non c’è nessuno, io credo, che senta o canti musica, senza avvertire che non sta acquistando qualcosa, ma solo perdendo – anche nel senso buono – qualcosa: frustrazione, avvilimento, limitatezza, tristezza, eccetera.

Infine, ci sono le puttane, e, per di più, quelle prigioniere, una volta, nei famigerati ‘casini’.

Ebbene, non c’è nessuno più vicino delle puttane alla Perdita Assoluta. E, pertanto, più prossime a Toledo  e alla musica.

Dimenticate, inessenziali, private per sempre del senso di sé e di ciò che i borghesi un tempo chiamavano ‘dignità’, le puttane cantano e ascoltano musica non per dimenticarsi-dimenticare – e attraverso quest’oblio, riscattarsi, chessò? – ma per farsi – e non importa quanto consapevolmente – Cultrici, sagge e felici, del senso del Nulla, che è poi, a pensarci bene – del Senso, tout-court.

E su questo sfondo – Nulla e Nulla/Senso – innocentemente/perversamente, canto e faccio scorrere il filo del piccolo concerto mio e di Scialò: trovandone fatica, tanta, e consolazione, pure tanta, che spero con tutto il cuore arrivi pure a chi m’ascolta.

Enzo Moscato

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