Ci fu un tempo, credo tra il quinto ginnasio e il primo liceo, che con i due amici più intimi del momento - chiamerò coi nomi fittizi di Angelo e Donato - facevamo un gioco trasgressivo: inventavamo bestemmie fuori dall'ordinario. Erano in generale rivolte all'onnipotente e onnisciente e si inserivano nell'uso popolare: come epiteti infatti sceglievamo soprattutto animali e caratteristiche umane, fisiche, etiche o professionali. Tra gli animali partimmo dai domestici, ma escludendo gli abusati epiteti canini, suini e ovocaprini ed arrivando al capuni (cappone), al pipìu(tacchino), alla ciàula,che da noi è una specie di cornacchia addomesticabile, allojencu, nome arcaico e ormai desueto del vitello. Ma poi ci allargammo e dunque scursuni (serpe), tigniusieddru (geco) fino ad arrivare alla mammacatessa, un insetto della famiglia della mantide religiosa, caro ai nostri giochi infantili, visto che lo stecco che infilavamo nel suo didietro roteava come una girandola. Per gli epiteti umani ricordo un nanu cu la minchia tanta, importato da una sconcia barzelletta su Pierino, un cruzzutu (testardo) ed un innocuo bagninu, che in quell'estate ci divertì non poco, chissà perché.
Angelo era, ed è ancora, religioso ed attribuisce oggi, più di cinquant'anni dopo, a me l'iniziativa e la responsabilità di quel suo temporaneo traviamento, io non ne sono convinto; a Donato, che avrò incontrato tre volte negli ultimi quarant'anni, non ho mai chiesto una testimonianza in materia. In ogni caso, a quel tempo, mi definivo già epicureo (un Epicuro di cui sapevo quel poco che c'era sulla mia enciclopedia per ragazzi, “Il mio amico” di Garzanti); non so se mi considerassi ateo, ma avevo appreso che la (o le) divinità, ammesso che esistano, si fanno i fatti loro e che riti e preghiere sono superstizione. Questo non mi impediva di frequentare l'azione cattolica, ove c'erano il bigliardino e il ping pong e dove incontravo tanti coetanei. Al parroco forestiero (veniva da un paese ad alta intensità mafiosa, come allora il mio non era) facevo ogni tanto obiezioni che dovevano fargli fischiare le orecchie, ma forse lui era più ateo di me.
Angelo in quell'estate si trovò più volte a fare la siesta pomeridiana in una campagnola casa di famiglia. Alle scampagnate partecipava una sua cugina che era da poco rimasta orfana e che aveva due anni meno di noi, tredici. Fino a quel momento noi maschietti di primo pelo la consideravamo una insignificante occhialuta, ma proprio in quell'estate – forse con un po' di ritardo – stava rapidamente sbocciando. Angelo ci raccontò un gioco erotico. Lui e Santina facevano il riposo postprandiale in due camere relativamente isolate, una di fronte all'altra, separate da un corridoio. Non potevano o, forse, non volevano stare insieme nella stessa stanza; ma tenendo nel modo giusto le porte aperte (la cosa era giustificata dal caldo) potevano vedersi ciascuno nella propria branda. Non so chi avesse preso per primo l'iniziativa, ma già la prima volta si tolsero mutande e maglietta per guardarsi reciprocamente nella loro nudità. Le volte successive si fecero addirittura più audaci: si masturbarono l'una alla vista dell'altro. Una storia banale, credo, accaduta a migliaia di cugini, piena di prudenze: erano attentissimi ad ogni rumore di passi, anche lontano e subito si coprivano. Fuori da quel gioco non cercavano contatti.
Lui in quei giorni faceva la corte ad un'altra, come si faceva allora la corte: alla domenica la stessa messa sperando di incrociare gli sguardi, tante passeggiate sotto la casa dell'amata in attesa che per una qualche ragione uscisse e si potesse scambiare un saluto; infine, quando si riteneva la cosa matura, si fermava la ragazza e le si faceva la dichiarazione. Lei a sua volta si prendeva qualche giorno per pensarci e poi, se voleva, pronunziava il sì che rendeva i due ragazzi “ziti”, impegnati. Angelo non era ancora a questo punto, era formalmente libero, ma si sentiva impegnatissimo. Di Santina non so, ma immagino dal suo atteggiamento che quella col cugino fosse una relazione pura: solo sesso senza complicazioni sentimentali. Credo che in quel guardarsi e toccarsi fosse un conoscere e un crescere: l'incontro con la propria sessualità e con quella dell'altro sesso, che può essere a volte sconvolgente, sembrava accadere in questo caso senza traumi, con una certa serenità. A turbarla arrivò il prete.
Angelo soleva confessarsi e far la comunione nelle feste principali, e tra le principali c'era la Madonna dell'Aiuto, la prima domenica di settembre. Andò a confessarsi di pomeriggio, forse il venerdì, e tornò turbato da noi che lo aspettavamo nella piazzetta della vasca. Ci rivelò che il parroco forestiero non aveva voluto dargli l'assoluzione. Non era per le bestemmie: per quelle il confessore non era sceso nei particolari, si era contentato di un “sì” alla sua domanda; ma per i pomeriggi in campagna aveva chiesto un'infinità di particolari e alla fine aveva detto al nostro amico di non potergli dare subito l'assoluzione: doveva consultare i libri perché poteva trattarsi del gravissimo peccato di incesto. Credo che si trattasse di una finzione per mettere paura ad Angelo e la cosa un po' riuscì; ma l'indomani il mio amico ebbe l'assoluzione e alla gravità del suo peccato probabilmente non pensò più, anche perché la cugina era ormai in continente, con la matrigna continentale che l'amava come fa una mamma. Al mio amico che incontro ogni due o tre anni chiederò di lei la prima volta che capita: voglio vedere come reagisce e se darà a me la colpa di tutto.
Di quel prete, invece, ho ricevuto notizie non commendevoli. Tornato nel suo popoloso paesone di mafia, ha fatto carriera diventando arciprete e in questo ruolo ha infarcito il comitato della festa patronale di rappresentanti di certe, speciali “famiglie”. È entrato, di sguincio, anche in un caso di pedofilia, nel quale era invischiato un altro prete di quel paese. Costui, parroco, nel quartiere ove più forte era la povertà e il degrado, avrebbe approfittato della situazione facendo violenza ad alcune bambine e bambini. Il Vescovo si era limitato a trasferirlo in un'altra, lontana diocesi, dove qualche tempo dopo il delinquente riprese le sue pratiche. Pare che l'arciprete abbia fatto da tramite con le due o tre vittime del suo disposte a testimoniare, offrendo un risarcimento per conto del Vescovo. Forse non è vero, ma è credibile. Non ho alcun dubbio invece sul fatto che quell'arciprete diplomatico, fin troppo accogliente e remissivo con i mafiosi, conservi la sessuofobia che lo condusse tanti anni fa a minacciare l'Inferno per un innocente gioco di ragazzini.
Di quel prete, invece, ho ricevuto notizie non commendevoli. Tornato nel suo popoloso paesone di mafia, ha fatto carriera diventando arciprete e in questo ruolo ha infarcito il comitato della festa patronale di rappresentanti di certe, speciali “famiglie”. È entrato, di sguincio, anche in un caso di pedofilia, nel quale era invischiato un altro prete di quel paese. Costui, parroco, nel quartiere ove più forte era la povertà e il degrado, avrebbe approfittato della situazione facendo violenza ad alcune bambine e bambini. Il Vescovo si era limitato a trasferirlo in un'altra, lontana diocesi, dove qualche tempo dopo il delinquente riprese le sue pratiche. Pare che l'arciprete abbia fatto da tramite con le due o tre vittime del suo disposte a testimoniare, offrendo un risarcimento per conto del Vescovo. Forse non è vero, ma è credibile. Non ho alcun dubbio invece sul fatto che quell'arciprete diplomatico, fin troppo accogliente e remissivo con i mafiosi, conservi la sessuofobia che lo condusse tanti anni fa a minacciare l'Inferno per un innocente gioco di ragazzini.