Il 31 maggio ebbe il primo, inaspettato, attacco di epilessia, all'età di sei anni. Il 28 agosto ebbe il 17esimo. E quello fu l'ultimo perché il giorno dopo mi decisi a portarla dal veterinario. Tra il 31 maggio e il 28 agosto, gli attacchi ebbero in media una cadenza settimanale, come descritto nei siti di veterinaria che consultai su internet. Ciò che mi fece decidere a farla visitare, lunedì 29 agosto, fu che sabato 27 ne ebbe due nella stessa giornata e uno il giorno dopo. Non era un buon segnale. Mi parve che la faccenda degenerasse. Il rimedio classico, anche per l'epilessia umana, è il fenobarbitolo. Mezza pastiglietta al mattino e mezza la sera, secondo la prescrizione della dottoressa, hanno compiuto il miracolo di farle cessare le crisi. Da quando è sotto cura, non gliene sono più venute.
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Ora però sorge il problema della cronicizzazione della malattia, che è l'obiettivo delle industrie farmaceutiche nei riguardi di tutti i pazienti del mondo, siano essi umani o animali. Poiché non intendo essere schiavo delle banche, dei governi o delle fabbriche di medicine, mi si pone la questione se, dopo un mese, sospendere la cura, che obiettivamente ha funzionato, e stare a vedere cosa succede. Ovvero, se Pupetta ricade nella situazione precedente con attacchi settimanali o se, per qualche strabiliante miracolo, l'epilessia non le si ripresenta più. Poiché credo nella formula, coniata dai medici dell'antichità, del “Vis sanatrix naturae” (la forza guaritrice della natura), non mi stupirei se la mia cagnetta ora fosse guarita del tutto, a dispetto delle indicazioni della veterinaria e delle aspettative opportunistiche delle industrie farmaceutiche. Io sarei propenso a sospendere la terapia, dopo un mese di trattamento, ma se qualcuno dei miei affezionati lettori ha qualche suggerimento da darmi in merito, o se ha avuto esperienze simili, accetto volentieri e con gratitudine di esserne edotto.