Addio patria crudele!


Mentre i mondialisti, per obbedire ai loro padroni occulti, si ostinano a chiamare “nuovi cittadini” quella marmaglia di afroasiatici che nei loro paesi rappresentano il surplus della popolazione e che vengono senza documenti a prendere possesso del suolo europeo, io, che sono sempre stato Bastian Contrario, faccio la rotta inversa. Sto per diventare, per la seconda volta in otto anni, un nuovo cittadino del Madagascar. La prima volta fu nel 2008 e per avere il permesso di soggiorno dovetti aprire una fittizia società di import export di fossili e minerali. Oggi lo faccio per ricongiungimento familiare, giacché nel frattempo convolai ad ardite nozze con Tina. 



Oggi, i documenti che ho dovuto presentare di persona all'ambasciata del Madagascar a Roma, giacché per ottenere il visto trasformabile non c'è altro modo se non quello di recarvisi personalmente, sono diversi. In entrambi i casi ho presentato un modulo compilato con la domanda, correlato da una fototessera, una lettera d'intenti e un casellario giudiziario. In più stavolta ho allegato il certificato di matrimonio malgascio e la corrispondente registrazione fatta nel mio comune italiano di residenza. Il prezzo del visto è stato di 54 euro. Secondo il sito dell'ambasciata, c'era bisogno di 4 domande con altrettante fotografie, poi, arrivato in Via Riccardo Zandonai a Roma, ne sono bastate due. Anzi, a detta del signor Hervé, addetto alla cancelleria, ne bastava anche una sola. Egli stesso ha ammesso che il loro sito non è aggiornato. Comunque sia, poiché mancavano tre documenti, ho lasciato tutti gli incartamenti lì, compreso il passaporto da timbrare e firmare, e ora sto aspettando una telefonata del signor Hervé che mi comunichi che il passaporto è pronto. Dopo di che, manderò un corriere DHL a ritirarlo e a farmelo portare nella mia residenza in Friuli. 


I tre documenti che mancavano erano la fotocopia del passaporto di mia moglie e la dichiarazione del “fokontany” (capo villaggio) di Analatsimavo, dove Tina ha la residenza. A questa lacuna Tina ha posto rimedio nel giro di un'ora spedendo via mail, come suggerito dal signor Hervé, i due documenti scannerizzati. Io ho fatto la stessa cosa con una dichiarazione del mio comune attestante che sto per chiedere il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, ma ho potuto farlo solo il giorno dopo, giacché il viaggio di ritorno in treno da Roma a Codroipo, richiede circa otto ore. Solo la mattina di venerdì 22 ho trovato gli uffici del mio comune aperti, ma siccome non esiste un certificato di tal genere, l'impiegata dell'anagrafe mi ha autenticato una dichiarazione scritta di mio pugno, specificando che sono in possesso di biglietto per il Madagascar per il 26 novembre.


Ma non è ancora finita. Appena arrivato sulla grande isola australe, dovrò aprire un conto presso una banca e allegarne testimonianza alla domanda di permesso di lungo soggiorno presso il ministero degli interni. Mi aspetto di avere un permesso per due anni, giacché nel 2019 scade il mio passaporto e dovrò rientrare in Italia per rinnovarlo. Tina nei giorni scorsi ha preso contatto con una donna poliziotto di Tulear, una certa Francine, che si è dichiarata disponibile a farci tutte le pratiche, ma siccome alla fine dovremo andare noi di persona ad Antananarivo a ritirare la carta di residente, mi sono chiesto se non si poteva saltare un passaggio e lasciar perdere la volenterosa Francine. In base al proverbio “Nancje il cjan al mouf la code par nuje” (neanche il cane muove la coda per niente) e siccome è odiosa consuetudine dare una mancia ai funzionari, in quello che localmente si chiama “koly koly”, mi chiedo se era il caso di elargire mance sia a Tulear che a Tanà. Forse bastava farsi mungere solo presso gli uffici del ministero centrale. Ad ogni modo, negli anni ho imparato a fidarmi ciecamente di Tina e faremo come dice lei.


Un'ultima considerazione polemica, riguardante la differenza tra me e gli invasori afroasiatici. Mentre io sono entrato in Madagascar in punta di piedi, bene accolto dai malgasci in virtù della possibilità che intravedevano di guadagnarci qualcosa, gli africani subsahariani vengono trasferiti in Europa forzatamente e senza documenti, sulla base della falsa promessa che saranno accolti e mantenuti gratuitamente. Mentre io mi sto sudando ogni singolo certificato, e corro il rischio di finire in prigione in Madagascar se solo lascio scadere il permesso di soggiorno, torme di giovani sfaccendati di colore pretendono di installarsi in Italia con pieni diritti sulla base della comune appartenenza all'umano genere e si arrabbiano anche se il cibo fornito non è di loro gradimento.


Io in Madagascar non ho mai preteso niente e ho sentito storie di vazaha che finivano in prigione per una disattenzione inerente il visto, mentre qui in Europa, su disposizione dei padroni occulti del NWO di cui in premessa, i prossimi europei di pelle scura sono ospitati negli hotel, per lo meno molti di loro, in maniera del tutto aleatoria e stocastica. Poiché questo suscita le ire degli italiani, tranne quelli asserviti ai mondialisti, uno scenario possibile è quello della guerra civile, alla quale a volte anch'io penso. Ma, siamo realisti, io personalmente non potrei fare del male a una mosca e come potrei prendere le armi per “combattere l'invasore”? Non è quindi una fuga, la mia, anche se vorrei che questa invasione cessasse. Non potrei mai fare del male a questi giovani africani che c'invadono, perché so che essi sono solo strumentalizzati e che i veri colpevoli sono i loro mandanti occulti. Anzi, è più facile che, in caso di guerra civile, io sia il primo a soccombere, in virtù della mia incapacità filosofica a nuocere. Anche in Madagascar potrei soccombere, magari per mano di un “malaso” (bandito), ma almeno in Madagascar mi diverto. Qui mastico solo rabbia impotente.



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