NOI E LORO? di Norberto Fragiacomo




NOI E LORO?
di
Norberto Fragiacomo


Stando ai quotidiani e a chi vi ha preso parte la recente manifestazione di Macerata è stata un evento pacifico, gioioso e partecipato: in sintesi, un notevole e confortante successo. Considerate le premesse, che tutto filasse liscio non era affatto scontato, e qualche marginale sgradevolezza - probabilmente enfatizzata, se non “creata” dai media - non basta a deturpare il quadro: è assurdo pretendere che una dimostrazione abbia i toni e la solennità di una messa cantata.

Detto questo, a lasciar perplesso chi scrive sono stati i contenuti, che si riducevano alla duplice condanna di «fascismo» e «razzismo»: il primo impersonato da forze politiche di cui viene denunciata la crescita spettacolare e che bisognerebbe invece mettere al bando, il secondo visto come una malattia contagiosa che sta rapidamente infettando la società italiana (e quelle europee). Stanno davvero così le cose? E’ lecito dubitarne, anche se le preoccupazioni non sono del tutto infondate. Esistono in Italia partiti apertamente fascisti, che annoverano tra le loro fila militanti (ovvero strizzano l’occhio a simpatizzanti) che, pur senza magari conoscere approfonditamente genesi e dottrine del movimento mussoliniano, da fascisti si comportano, e possono senz'altro costituire una minaccia oggettiva. Quantificarli è difficile, ma si tratta comunque di sparute minoranze, all'interno delle quali si annidano razzisti convinti e dichiarati. Attenzione: non parlo genericamente di xenofobi, ma specificamente di razzisti, cioè di persone convinte di appartenere a una razza superiore (quella bianca) che, come tale, ha pieno diritto di disporre a piacimento di quelle inferiori. Traini appartiene a questa categoria? Occorrerebbe chiederglielo; sono sicuro, d’altra parte, che non vi appartenga la stragrande maggioranza dei cittadini che si lamentano del numero crescente di stranieri in circolazione e delle loro “strane” o addirittura detestabili abitudini: alle radici di questa ripulsa (verbale) ci sono insofferenza e paura, non disprezzo razziale.

Insomma, «fascismo» e «razzismo» vengono utilizzati come concetti onnicomprensivi, che del nemico però dovrebbero catturare l’essenza: questo riconoscimento dell’avversario ha un effetto galvanizzante, ma solo sui militanti di certa sinistra, che finiscono per specchiarsi nella controparte dando vita a una sorta di curva sud opposta alla nord. Per la fazione nera gli immigrati extraeuropei, senza eccezioni, sono condannabili in blocco come stupratori, spacciatori di droga, mangiapane a ufo e invasori; per quella rossa sono da esaltare (egualmente in blocco) come agnellini in fuga dai lupi, vittime della nostra cattiveria e redentori di un’Europa corrotta e incanutita. Quest’ultima immagine agiografica è forse debitrice del “Buon selvaggio” russoviano, ma poco importa: in entrambi i casi si tratta di oleografie che snobbano il contatto con una realtà (quella umana) fatalmente variegata. Tra le due minuscole curve sta la spaziosa gradinata, in cui si assiepano gli spettatori comuni (cioè il c.d. popolo), che pur tenendosi alla larga dagli ultras finiscono naturalmente per simpatizzare per quelli locali. Che stia avvenendo questo mi pare evidente, e sotto sotto pure inevitabile.

Un esempio di tale spocchioso autoisolamento ci è stato fornito dall’episodio (minimo) verificatosi su un bus triestino, su cui ritorno, ma non per rinfocolare polemiche in fondo spiacevoli: l’autista, irritato, si sarebbe rivolto a passeggeri immigrati adoperando epiteti come «tumbani» e «colorati» (le ricostruzioni divergono, ma il lessico è quello). Prima considerazione: un dipendente in servizio dovrebbe sempre usare un linguaggio consono - perciò se l’autista è sbottato senza apprezzabili ragioni andrà per forza ripreso in sede disciplinare. L’errore è voler ricondurre questa condotta a una matrice razzista, cioè al disprezzo nei confronti dei “diversi”. A contraddire questa lettura sono proprio i termini adoperati: se la parola “colorati” è ambigua, perché può celare un contenuto derisorio, è l’espressione “tumbani” a sgombrare il campo dagli equivoci. E’ ben vero che essa, al singolare, significa sciocco o poco sveglio, ma l’evoluzione linguistica degli ultimi decenni ha di fatto tagliato fuori dalla parlata quotidiana il vecchio termine (che il triestino ha mutuato dal tedesco, ovviamente storpiandolo), confinandolo in motteggi e battute. Se oggidì si vuole ferire una persona non gli si dà del gaglioffo o del masnadiero; se per essa si prova disprezzo e la si vuole umiliare non si ricorre a un epiteto desueto. A una simile obiezione gli attivisti insorgeranno sdegnati: ma certo che si tratta di razzismo, perché il problema autentico è la contrapposizione fra noi e loro. Oltre a far cader le braccia, la spiegazione – come dicono i giuristi – “prova troppo”: a questa stregua ogni essere umano è un razzista, perché noi, animali sociali, abbiamo bisogno per affermare la nostra identità (familiare, di gruppo, di villaggio ecc.) di contrapporla ad un’altra, percepita come esterna/estranea. Nulla vieta di cambiare il senso alle parole, definendo razzismo questa nostra basilare esigenza di differenziarci (o dicendo che, poiché volano, gli aquiloni sono uccelli: il meccanismo è lo stesso), ma questo non conduce al Socialismo, bensì a Babele – o forse all'immaginaria torre d’avorio in cui certa sinistra amerebbe rinchiudersi, lasciandone fuori la plebea umanità razzista.

Le generalizzazioni, tuttavia, si potrebbero anche perdonare, non si accompagnassero a un colossale (e per me inescusabile) fraintendimento della realtà. Ci ammoniscono che il fascismo è alle porte, e potrebbero per assurdo aver ragione, ed io torto marcio. Una cosa però è innegabile: il capitalismo ce lo troviamo già ben insediato in casa, al piano padronale.
Ha senso sbarrare l’uscio per impedire l’ingresso allo scagnozzo, mentre il gangster spadroneggia in soggiorno? Ha senso fare di una mosca un elefante fittizio, provando in tutti i modi a schiacciarla mentre la zampa di quello autentico cala veloce su di noi?
Forse sì, perché i fascisti sono il nemico ideale, prestandosi magnificamente alla dialettica (razzista!?) del «noi e loro», parecchio in auge anche tra chi la rifiuta.




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